Andrew Hazewinkel

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Andrew Hazewinkel
FCO - MEL unspooling (Italiano)
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A Roma la memoria è costruita pietra su pietra, strato su strato, ma la forza del Tevere ne minaccia continuamente l’autorità, incidendole nel cuore i segni di un tempo, scandito dalle date delle tante inondazioni5. Questa storia documentata di distruzione liquida di Roma si oppone a quella edificata della rappresentazione del potere, narrata dalle solide architetture della città eterna.

Negli elementi naturali perpetui dell’acqua e della luce, Andrew cerca strutture di supporto alla comprensione di questa dicotomica realtà; attraverso la fisica materialità di questi elementi, impossibili da ridurre singolarmente nella rappresentazione e nel linguaggio dell’arte, Andrew coglie l’instabilità delle forze naturali e gli effetti dell’immateriale.

 

SM

La Dott.ssa Stefania Manna è ingegnere e co-direttrice fondatrice di LGSMA Architettura Roma

Si prega di scaricare una copia di FCO - MEL Unspooling qui

 

FCO - MEL UNSPOOLING un testo di Stefania Manna

Ho incontrato Andrew Hazewinkel, sull’imponente ingresso di un grande edificio a Roma fuori scala e fuori tempo.Salendo la maestosa gradinata dell’Accademia Britannica (Edwin Lutyens, 1912), l’impenetrabile massa costruita della facciata neoclassica mostrava, in tutta la sua gravità, il peso della storia. Questo senso di solidità e di schiacciante permanenza era improvvisamente interrotto da una serie di linee colorate, di funi, che si avvolgevano intorno alle colonne del pronao, trasformate così in giganteschi rocchetti di filo, per il piacere di un atto scherzoso, se non irriverente, che si rivelava il principio dello svolgimento di un discorso.

 

 


L’opera che comprende The Acqua Alta Project # 1: Agua Mundi. Rome 2006, lavora sul tema della contrapposizione tra campi di forze permanenti e condizioni temporanee, cogliendo il momento fertile della loro transizione.Varcando la soglia di quel possente edificio, il movimento all’interno degli ambienti si dipanava seguendo una costellazione di cavi variopinti, che contaminava stanze, come mensa, corridoi, scale o gallerie, impropriamente accessibili al percorso del visitatore.

 


Allora come ora, l’istallazione The Acqua Alta Project # 3: Italian Institute of Culture Melbourne 2009 induce all’avanzare disturbato attraverso una rete eterea di connessioni, all’esperienza dello spazio immobile dell’architettura frammentato dall’articolarsi di traiettorie immateriali. Essa spinge verso l’esplorazione dinamica di un vuoto impraticabile nel quotidiano: un vuoto striato da linee vivaci, vettori cristallizzati di una silenziosa tempesta di pensieri.Pensieri in tensione, che delineano una struttura di relazione con l’ambiente, entro la quale rileggere il ruolo sociale dell’arte. Attraverso un gesto simbolico di riappropriazione, di rivisitazione dello spazio, il lavoro di Andrew restituisce quella coscienza, progressivamente persa, del proprio ruolo di creatori dell’ambiente. E alla coscienza è legato un senso di responsabilità individuale: inondati di paure, speranze e desideri non siamo più capaci di credere nel fatto di essere noi stessi a modellare le strutture ed i sistemi labili delle nostre società.

Non a caso i punti di ancoraggio delle interferenze tra soggetto e oggetto di quest’opera sono smaterializzati, delicati nella loro inconsistente resinosa trasparenza, vistosamente in contrapposizione con la rassicurante memoria dei pesanti anelli di ormeggio in ferro del lungofiume, dai quali mutuano la propria forma. Reinventare la materialità di questi punti fissi genera incertezza, dubbio che disorienta, nella reale percezione dell’incapacità, dell’impossibilità dell’immaginazione di districare, di spiegare. I punti saldi di riferimento sembrano invertirsi, dipanando le compromesse relazioni con un futuro così prossimo da divenire istantaneamente presente.

Il lavoro dell’Istituto Italiano di Cultura Ipresenta una serie di ambienti, funzionalmente evolutivi: una strana contaminazione di spazio domestico ed istituzionale. Le cime tese di Andrew percorrono questi spazi in direzioni multiple e catturano oggetti, la cui quotidianità nel presente è stata manipolata in studio: oggetti trovati vengono riconfigurati, rimodellati nel loro uso originario, trasformati in nuovi oggetti ibridati, dalla funzionalità indefinita, sospesi in spazi familiari.Andrew ritrova in questi immaginari relitti usuali un’assonanza con il mondo simbolico rappresentato nel “Nubifragio di averi materiali” di Leonardo da Vinci.2 In questo piccolo schizzo, una pioggia di comuni oggetti domestici e arnesi da scultore cade da una nuvola: una primissima possibile forma di consapevolezza dell’interazione tra le attività quotidiane dell’uomo e l’ambiente.

Dalle funi del The Acqua Alta Project # 1 : Agua Mundi. Rome 2006, migliaia di linee in tensione legano i pensieri di Andrew ai miei, le sue e le mie ricerche, come anche i nostri movimenti comuni o individuali. Il nostro spazio della memoria, creato attraverso le tante esperienze condivise, esprime eloquentemente le sottili differenze tra ‘distanza’ e ‘separazione’. 

“I have been thinking about you and your return to Orlèans and I cannot help but make another parallel with the world flooding. I know, for sure, that, as you walk through the streets and into cafes and bars, you will be flooded with a deep emotional turbulence, rising to the surface and it makes me think of the flooded images we saw in Venice of New Orleans 3, when the waters broke away the constraining walls and everything let go”.4

La distanza e la storia, fisica ed emotiva, sono inscritte in un cerchio che la memoria traccia per articolare il vuoto che allontana luoghi e tempi, nel tentativo di dissolvere la nozione stessa di separazione. Ma l’orbitare di un punto lungo un nuovo asse trasforma il cerchio in una spirale, e nella dinamica dei fluidi, la spirale diventa un vortice e il vortice genera turbolenza. Se una tensione immobile mette in discussione il concetto di permanenza o fissità, si è costretti ad abbandonare gli ormeggi, a seguire il flusso disordinato degli eventi.

A Roma la memoria è costruita pietra su pietra, strato su strato, ma la forza del Tevere ne minaccia continuamente l’autorità, incidendole nel cuore i segni di un tempo, scandito dalle date delle tante inondazioni.5 Questa storia documentata di distruzione liquida di Roma si oppone a quella edificata della rappresentazione del potere, narrata dalle solide architetture della città eterna. Negli elementi naturali perpetui dell’acqua e della luce, Andrew cerca strutture di supporto alla comprensione di questa dicotomica realtà; attraverso la fisica materialità di questi elementi, impossibili da ridurre singolarmente nella rappresentazione e nel linguaggio dell’arte, Andrew coglie l’instabilità delle forze naturali e gli effetti dell’immateriale.

Nella video sequenza Turbulence 2007, bottiglie di plastica e palloni colorati danzano cullati dalle acque del Tevere, che ritrova una sua candida primordiale innocenza in una schiuma bianca vestita di luce. Il gorgogliare inquietante ed immacolato dei rifiuti è la trasfigurazione di un fenomeno di degrado in una visione di assoluta poesia. I disgustosi consueti testimoni dell’inquinamento diventano gli inconsapevoli protagonisti di una messa in scena urbana, affermando il loro diritto ad abitare il fiume come la città. Ma la scoperta del valore estetico di questa esperienza genera un senso di stupore, piuttosto che di bellezza, allontanando lo sconforto della rassegnazione per la guerra persa in difesa dell’ambiente. All’urgenza materiale del problema, corrisponde una sensibilità generativa, che contrappone, alle distruttive forze della natura artificializzata, un naturale istinto di sopravvivenza immaginaria.

Parallelamente a questo lavoro, il fiume offre ad Andrew ulteriori occasioni di risveglio emotivo della coscienza comune. Grazie ad un’attività svolta tra le atmosfere climaticamente controllate di un archivio fotografico e le sponde del Tevere, Andrew produce un ciclo di foto dal titolo Domus - sub/merge # 1 to # 8 Rome: 2006/2009, nel quale immagini storiche delle inondazioni a Roma (tratte dalla collezione  Bulwer, Ashby and Mackey, conservata presso l’archivio fotografico dell’Accademia Britannica), si accompagnano ad immagini di fragili giacigli temporanei, allestiti con cura, attualmente rinvenuti lungo le rive del fiume.

Il Tevere crea spazio, scavando un vuoto nel centro della città. Le inondazioni hanno conservato nel tempo questa sottrazione, questa assenza, consentendo lo scorrere perpetuo di questo vuoto attraverso una storia urbana ad alta densità come quella di Roma. Questo spazio libero non è affidabile, in un certo senso è insicuro, imprevedibile. In una condizione di totale vulnerabilità, i senzatetto si appropriano di questi luoghi, che la presenza del fiume ha creato e protetto dall’edificazione. Ancora una volta campi contrapposti di forze: costruzione e distruzione, ordine e disordine, tentativi impossibili di negoziazione dello spazio, tra bisogno istintivo di rifugio domestico e intimità inevitabilmente violate. La limpida calma piatta del post inondazione vs l’ordinata intimità di esistenze in disastroso turbinio; gli stati di eccitazione sensoriale stimolati dalla fissità vs i ritmi quieti del vortice e della turbolenza.

Nella video sequenza Splinter Cycle (recurrent dream) 2008, la corrente del fiume trascina in vortici grigio-verdastri riluttanti rami, in un’anomala deriva. Tutto si muove in ogni direzione. Gli elementi naturali sono entrambi prigionieri in una circolarità di spazio e tempo: la vegetazione è una memoria delle sponde verdi, una volta esistenti sul fiume (che ho visto rappresentate in tanti dipinti), ed anche l’acqua, scorrendo al contrario in un filmato che si riavvolge quietamente su sequenze diverse da quelle appena passate, conduce dove non si è mai stati prima.

Ri-pensare è diverso dal rivisitare pensieri già fatti: i percorsi mentali non sono mai uguali a se stessi. Ri-pensare è un processo di accumulazione di significato, che registra le variazioni nella comprensione degli eventi, ma è anche e soprattutto un processo di riavvolgimento in avanti e indietro del tempo presente. La sorpresa, il miracolo dell’arte, è che si tratta di un riavvolgimento impossibile: la condizione di acquisizione di coscienza non ammette un ritorno all’innocenza. Queste condizioni di vincolo, come gli anelli di ormeggio, sviluppano tensione: lo scorrere imperfetto del tempo, la verità impossibile, il pensiero debole contemporaneo6 che frammenta la storia, sfaccettandola in sequenze discontinue, che non vedono mai ad una fine corrispondere un principio e viceversa.

Il ritorno in luoghi ignoti denuncia una dislocazione in atto, che crea mondi paralleli, dove si evolve non più semplicemente andando avanti, ma tornando indietro, attraversando territori inesplorati, in un processo dalla disarmante non linearità. Mondi dove componendo e scomponendo le tessere di un mosaico, queste si combinano diversamente, non riformando mai una stessa immagine: un mosaico che sembra non restituire una figura comprensibile, senza che la stabilità di questo raggiunto equilibrio non ne decreti la condizione di passato, determinando il bisogno di un nuovo divenire.

“Il Tevere è arrivato prossimo alla piena e, per alcuni giorni, un’inquietudine tangibile ha riempito le nuvole sulla città, quanto la pioggia stessa che cadeva ininterrotta. Passando su Ponte Garibaldi ho visto, dai rami secchi dei cespugli e degli alberi attorno alle sponde del fiume, sventolare una moltitudine di buste di plastica e rifiuti di ogni genere, trasportati in alto dal crescere voluttuoso del fiume. Riavvolgendo il nastro della memoria mi sono passate davanti le immagini delle tue bottiglie Andrew, e ho visto, in quei fragili, reietti nuotatori nel fiume, un esercito di sopravvissuti alle intemperie della vita, a cui la forza della natura stava tributando una bellezza fiera, inusuale. Pensando a quanto ti sarebbero piaciuti, mi è sembrato che tu fossi qui”.7


Post Scriptum

L’occasione di questo breve testo, mi ha regalato lunghe conversazioni con Andrew sul significato delle opere in mostra, di cui lo ringrazio. Conversazioni dalle quali è emersa un’urgenza di comunicazione del senso delle opere stesse, nel dubbio che il linguaggio potesse essere troppo semplice per stimolare la complessità del pensiero; che la forza della reazione emotiva al messaggio dell’opera d’arte potesse perdersi nella decontestualizzazione e che la distanza geografica potesse ridurre pensieri trascorsi ad una riserva di esperienze passate.

Se lo spazio materiale di questi lavori e delle ricerche che li accompagnano è Roma, l’ambiente naturale per la loro presentazione è certamente l’Australia. In Australia il tempo è antico per antropizzazione e geografia, ma giovane per storia edificata: è un tempo che non si può toccare con mano, ma che viene continuamente ripensato. Il passato non è costruito, non è ricordato, non è conservato. E’ una presenza fluttuante, continua, sentita, ma sciolta dagli ormeggi, lontana dalle spirali della memoria. Forse per questo, a Melbourne più che a Roma, si è liberi di srotolare il tempo.



1. Nell’installazione del 2006 a Roma, ad esempio, nella rete di funi era finita una sedia rivenuta qualche giorno prima nel parcheggio dell’Accademia.

2. Si tratta del disegno di Leonardo da Vinci datato ca. 1510 dal titolo “A Cloudburst of Material Possessions”, inchiostro su carta, The Royal Collection at Windsor Castle, Windsor UK, proprietà di Sua Maestà Regina Elisabetta II, RL12698.

3. Il riferimento è al Padiglione degli Stati Uniti d’America alla X Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, 2006, dal titolo “Dopo l’Inondazione: Ricostruire su un terreno più alto”, curato da Christian Bruun.

4. Da una lettera di Andrew, maggio 2007: “Stavo pensando a te ed al tuo ritorno ad Orlèans e non ho potuto fare a meno di stabilire un altro parallelo con il mondo delle inondazioni. Sono certo che non appena camminerai nelle strade, entrando nei caffè e nei bar, sarai pervasa da una profonda turbolenza emotiva, che affiorerà in superficie e tutto ciò mi fa pensare alle immagini dell’inondazione a New Orleans che abbiamo visto a Venezia, quando l’acqua ha rotto gli argini ed ogni cosa è stata travolta”.

5. A Roma, tra 414 aC ed il 2000 dC, si sono registrate circa centocinquanta inondazioni maggiori, una lista delle quali è riportata in appendice nel testo di Gregory S. Aldrette, Floods of the Tiber in Ancient Rome, The John Hopkins University Press, Baltimore 2007 ISBN 0-8018-8405-5


6. Il riferimento è al concetto di pensiero debole introdotto da Gianni Vattimo nel libro La Fine della Modernità, Garzanti, Milano 1985 ISBN 8-8115-9999-7

7. Corrispondenza, dicembre 2008.